Paul Canart
Riflessioni di un
catalogatore di libri
manoscritti
(Università di Roma Tor
Vergata, 11 novembre 2004)
A mo' di
introduzione, proporrò due
considerazioni preliminari.
Innanzitutto vi dirò perché ho
scelto l'argomento di questa
lezione – o conferenza, se
preferite –. Una prima ragione è
d'ordine personale. Il mio primo e
principale mestiere, per la durata
di quarantun anni, è stato quello
di catalogatore di manoscritti
greci; è per assolvere a questo
compito che, nel luglio del 1957,
ricevetti il biglietto papale di
nomina a "scriptor" della
Biblioteca Apostolica Vaticana, e
che sono entrato in servizio il 1°
ottobre delle stesso anno, andando
in pensione a fine ottobre 1978,
dopo essere stato mantenuto in
servizio un anno dopo il termine
normale di 70 anni di età e di 40
anni di lavoro. E' vero che ho
fatto – in campo scientifico e
amministrativo – varie altre cose,
ma la catalogazione è
probabilmente l'attività che mi
piace di più e che, di
conseguenza, esercito meglio. La
seconda ragione v'interessa di
più. La codicologia, ahimè, non
offre molti sbocchi di carriera.
Per descrivere manoscritti, si
reclutano, in Italia, giovani
volenterosi e ben preparati, a
titolo individuale o in gruppo.
Consacrare alcuni anni a
descrivere dettagliatamente e
attentamente un fondo di
manoscritti è un ottimo tirocinio
per chi, ad esempio, porta avanti
ricerche di tipo filologico o si
specializza nel restauro di libri
– manoscritti o non –; è utile
perfino a chi, cambiando settore
d'attività, si darebbe allo studio
e alla cura dei documenti
d'archivio o magari
all'archeologia dei monumenti
architettonici o allo studio e
alla cura degli oggetti d'arte. In
effetti, principi, metodologie e
sussidi analoghi sono applicabili
in questi campi diversi della
ricerca.
Una
seconda considerazione
preliminare ci fa entrare nel
cuore dell'argomento. In un
primo tempo, avevo intitolato la
mia lezione "Riflessioni di un
catalogatore di manoscritti".
Quindi ho precisato "di libri
manoscritti". Non ogni
manoscritto è un libro: gli
appunti che prendete a lezione,
le lettere che scrivete (se non
vi limitate ormai alla posta
elettronica e agli SMS ...), i
documenti che riempite con più o
meno entusiasmo nell'ambito
dell'università o della vita
corrente non sono libri. Cosa è
un libro manoscritto? E' un
oggetto materiale (qualunque sia
la materia e la forma) che
contiene un testo (prendo il
termine nel senso più largo
possibile), destinato alla
circolazione, anche ristretta.
Quest'ultimo punto è decisivo:
una raccolta di documenti
amministrativi originali, anche
assemblati sotto forma di rotolo
o di codice, non sono un libro;
ma copiati ad esempio per
formare un'antologia di modelli,
sono un libro. Evidentemente, ci
sono dei casi limite. Se
raccolgo i manoscritti dei miei
articoli e, sognando di gloria e
di esegeti che li scrutino e li
glossino, li rilego in pelle di
vitello, con tanto di titolo
stampato in oro, ho creato un
libro? Questo oggetto potrà
godere di una certa circolazione
tra le case di asta e,
finalmente, trovare il riposo –
e probabilmente l'oblìo – in un
fondo di manoscritti (l'ultimo
che si interesserà ad esso sarà
un povero catalogatore). E'
diventato un libro? Vi lascio
decidere. Ma prendiamo un caso
più frequente e più degno di
considerazione. Da una parte,
molte biblioteche posseggono
insiemi di lettere originali
(come da noi, in Vaticana, le
lettere ricevute dal cardinale
Giovanni Mercati durante 65/70
anni d'attività scientifica;
esse sono una testimonianza
eccezionale su un altrettanto
lungo periodo di ricerca
filologica e storica europea e
non soltanto europea); queste
raccolte, anche se rilegate in
volumi, non sono dei libri
secondo me; evidentemente
saranno lo stesso catalogate e
studiate; e vi farò osservare
che parecchi fondi manoscritti
contengono manoscritti che non
sono libri. Ma se un erudito e
uomo d'azione come Demetrio
Cidone nella Costantinopoli
della fine del secolo XIV copia
o fa copiare la sua
corrispondenza e ne costruisce
una raccolta organizzata, allora
sì che abbiamo a che fare con
uno o più libri: sono uno dei
tesori del fondo dei Vaticani
greci della Biblioteca
Vaticana. Non mi attardo sul
tema, che potrebbe essere
oggetto di discussioni
interessanti e distinzioni degne
della più sottile scolastica;
pensate, ad esempio, ai problemi
posti oggi dalla composizione e
riproduzione con procedimenti
elettronici, alla diffusione
mediante dischetti, CD ROM, siti
internet. In che misura siamo in
presenza di manoscritti e di
libri ? Saggiamente, mi limiterò
d'ora in avanti al tipo di libri
manoscritti che ho descritti:
rotoli o codici di papiro, di
pergamena o di carta contenenti
testi riprodotti per lo studio o
il divertimento dei lettori
dell'antichità, del medioevo e
del Rinascimento.
Ora, come
sapete, il libro manoscritto è
un oggetto allo stesso tempo
unico e complesso. Unico perché
due libri manoscritti, per
quanto somiglianti, non sono mai
identici (è il caso di tutti gli
oggetti artigianali). Complesso,
perché, in quanto oggetto
materiale, è frutto di tante
tecniche diverse e delicate; in
quanto portatore di testo, offre
caratteristiche ben più
complicate, spesso, dei libri
stampati ai quali siamo
abituati. Sulla complessità
dell'oggetto libro, non mi
soffermerò: la conoscete grazie
alle vostre lezioni. Ma vi dirò
qualcosa dei problemi di
contenuto che il catalogatore
deve affrontare e – "c'est ici
que le bât blesse", diciamo in
francese – spiegare ai lettori
del catalogo. Partiamo da un
caso molto semplice: su
commissione di un individuo
facoltoso (in altri casi, può
essere una comunità), un unico
scriba, pagato all'uopo, ricopia
la Divina Commedia di
Dante; si tratta di un
bell’esemplare, che non ha
subito danni o modifiche prima
di arrivare sugli scaffali della
Biblioteca Vaticana; tutt'al
più, la sua legatura attuale non
sarà l'originale, ma questo
rientra nei problemi d'ordine
materiale e non incide sul
contenuto. Supponiamo adesso
che, secondo le nostre
constatazioni (e questo suppone
già, nel catalogatore, serie
conoscenze di paleografia), il
testo sia frutto di due mani;
questi copisti hanno lavorato
insieme o il secondo è successo
al primo, magari dopo un certo
tempo, e siamo quindi di fronte
a due "campagne" di trascrizione
distinte; oppure, la prima copia
era completa in origine, ma,
mutilata in seguito a qualche
incidente, è stata restituita
più tardi alla sua integrità. E
può darsi che, per completare la
parte mancante, il copista sia
andato a cercarla altrove,
magari togliendola a una copia
più antica. Mi è capitato così
di ricostituire le fasi di
composizione e ricomposizione di
un volume che aveva subito più
mutilazioni nella sua storia
sofferta. Ma si trattava in fin
dei conti di un volume di
contenuto abbastanza semplice.
Che dire invece dei casi che vi
proporrò adesso?
Vi sono
libri manoscritti di contenuto
vario, talvolta sorprendente
nella sua mancanza apparente di
criterio logico, ma che sono
stati copiati in una volta per
un committente che li voleva
così. Pongono problemi di
interpretazione e valutazione di
tipo culturale (perché, ad
esempio, uno mette insieme passi
della Bibbia, trattatelli
teologici, estratti storici,
ricette medicinali, regole
grammaticali?), ma il
catalogatore si accontenterà di
identificare i testi e di
rimandare alle edizioni,
critiche o non. Al contrario,
può darsi che un manoscritto di
contenuto complesso sia il
frutto di una genesi essa stessa
complessa. Ci sono eruditi che
s'interessano a una certa
materia, poniamo l'astronomia.
Per riunire in un unico volume
diverse opere che trattano della
materia (Tolomeo, Pappo,Teone,
Teodosio, Autolico) egli si
procura a destra e a sinistra le
copie di questi autori (copie di
origine, data, valore diversi) e
le rilega; oppure le tiene
sciolte man mano che riesce a
procurarsele e infine le
riunisce e le arricchisce di
titoli, di note marginali, di
correzioni; oppure, dopo essersi
costruito la sua bella raccolta,
la disfa per sostituire con un
trattato più recente uno
invecchiato; sono tutti casi
incontrati nei libri manoscritti
e ci vuole erudizione, fiuto e
pazienza per ricostituire la
storia della formazione e delle
modifiche di libri di questo
tipo. E vi ho enumerato soltanto
alcune delle trasformazioni
dovute ad un solo proprietario.
Talvolta, passando da una mano
all'altra, il libro subirà
simili modifiche. Attualmente
specialisti come Peter Gumbert e
Marilena Maniaci stanno
definendo e classificando i
molti tipi di codici
"miscellanei" che il
catalogatore, presto o tardi,
incontrerà. Ciò l'aiuterà a
capirne meglio la logica interna
(se esiste) e a farla capire al
lettore, o almeno, a presentare
al lettore tutti gli elementi
che gli permetteranno, forse, di
capirla meglio del catalogatore.
Dopo aver
precisato il concetto di libro
manoscritto, passiamo ai
problemi che pone la
catalogazione. La mia lezione si
articolerà in tre punti.
1. Cosa deve contenere una
descrizione di manoscritti
La
descrizione esaustiva di una
realtà qualsiasi è impossibile.
Da tempo, gli archeologi, che
spesso debbono distruggere, man
mano che scavano le tracce del
passato che stanno studiando, si
sono accorti del problema e
hanno consacrato alla teoria
della descrizione e della
classificazione dei reperti
studi di notevole interesse
metodologico. Trattandosi di
manoscritti, ci troviamo per
fortuna raramente davanti alla
necessità di manometterli e di
sacrificarne qualche elemento.
Ma rimane per noi, catalogatori,
la questione: cosa dobbiamo
mettere nelle nostre
descrizioni? Paradossalmente –
in realtà non è un paradosso –,
più la filologia, la paleografia
e la codicologia progrediscono,
più il problema si fa acuto. Le
prime descrizioni di
manoscritti, che erano
segnalazioni più che
descrizioni, si limitavano
spesso a fornire la collocazione
del libro e brevi indicazioni
sul contenuto (talvolta, si
accontentavano di segnalare
soltanto la prima opera
contenuta nel manoscritto). Ma
passiamo subito alle descrizioni
scientifiche cosiddette
approfondite, inaugurate
nell'Ottocento dai bibliotecari
e filologi tedeschi. Prendo
l'esempio della serie dei
cataloghi del fondo Vaticano
greco. Il primo, opera di
Giovanni Mercati e Pio Franchi
de' Cavalieri, descrive 329
manoscritti in 543 pagine
(1,65 pagine a codice); il primo
catalogo di Robert Devreesse
impiega 619 pagine per
272 manoscritti (2,27); il mio
predecessore Ciro Giannelli,
famoso per la sua acribia,
consacra 536 pagine a 198 codici
(2,70); il vostro servitore ha
avuto bisogno di 785 pagine di
descrizioni più 203 di indici
per descrivere 213 volumi (4,6);
il mio collega e successore
Salvatore Lilla ha consacrato
529 pagine a 93 manoscritti
(5,6). Sempre più pagine, sempre
più tempo a manoscritto. Andiamo
forse verso la descrizione
infinita, cioè il blocco della
catalogazione? Non entrerò qui
in una discussione sul problema
e i rimedi che si stanno
proponendo; mi limiterò ad
alcune osservazioni ricavate
dalla mia doppia esperienza di
catalogatore e di lettore di
cataloghi.
1. Il
catalogo ideale dovrebbe
presentare tutti i dati utili
per chi deve utilizzare il
manoscritto, qualunque sia il
suo scopo. L'editore di testi
deve poter riconoscere tutti i
testi che contiene il
manoscritto, e sapere se sono
integri o non; la cosa è facile
se si tratta dell'Iliade di
Omero, ma già si complica se il
testo è accompagnato da glosse e
scoli; e vi assicuro che dare
un'idea precisa di piccoli
trattati o escerti di grammatica
o delle varianti di un
manoscritto liturgico non è cosa
da poco; ora è vero che se il
lettore nutre qualche dubbio sul
contenuto esatto, può chiedere
delle riproduzioni fotografiche;
ma se i manoscritti da
controllare sono parecchi, se la
verifica riguarda soltanto un
punto molto limitato, le spese
diventano oggi rapidamente
proibitive: i costi aumentano,
vi si impone di fornire un
minimo di riproduzioni a volume;
nello stesso tempo, i sussidi
concessi dalle istituzioni sono
ridotti o soppressi. Tempi duri
per i poveri filologi!
Ad ogni
modo, supponiamo che il lettore
abbia a sua disposizione il
microfilm completo del
manoscritto: la descrizione deve
fornire le precisazioni utili su
tutto ciò che non si vede o si
vede difficilmente sulle
riproduzioni. Ciò riguarda tutti
i particolari di ordine
strettamente codicologico, direi
più precisamente archeologico,
fino alle rasure, alle
correzioni, ai passi o alle note
marginali poco leggibili. Sempre
più, man mano che la scienza
progredisce – ed è un bene che
progredisca –, il catalogatore
deve far fronte alle richieste
più fini e sottili – in francese
diciamo "plus pointues" – dei
paleografi e soprattutto dei
codicologi. Come si sa, nelle
scienze basate
sull'osservazione, si vede
soltanto ciò che si cerca. Mi
limito a due esempi. Più volte
avevo visto sui bordi superiori
di manoscritti di carta antica
non filigranata di piegatura
in-4°, osservandoli controluce,
delle irregolarità nell'aspetto
dello strato di pasta, ma non ci
avevo fatto caso. Un bel giorno
ho sentito parlare del fenomeno
dell'impronta chiamata a
"zig-zag", presente nella carta
araba di tipo occidentale e
nella carta spagnola che ne
deriva; così fui il primo,
penso, ad accorgermi della sua
presenza in manoscritti non
soltanto arabi, ma anche greci;
non cercate la menzione di
questa particolarità nel mio
catalogo: non ne conoscevo
ancora il significato. Altro
esempio: recentemente, grazie ad
osservazioni della signora
Dominique Grosdidier de Matons,
la migliore specialista oggi nel
campo della legatura bizantina,
ho saputo che se uno trova, tra
i fogli di un manoscritto greco,
piccoli pezzi di filo colorato,
non soltanto non deve buttarli
(quanti l'avranno fatto,
anch'io, forse), ma deve notarne
l'ubicazione e la frequenza,
perché sono il residuo di un
sistema di cucitura provvisoria
dei fascicoli, anteriore alla
legatura definitiva. Ora, dico,
tutto questo è bello e buono, ma
dove ci fermeremo? Aggiungerò
una osservazione, anch'essa
frutto dell'esperienza. Le
inchieste di tipo codicologico,
se sono di una certa ampiezza,
si fanno in gruppo e richiedono
di prendere in considerazione, a
fini statistici, un numero
cospicuo di manoscritti. Ebbene,
per quanto dettagliati siano i
cataloghi (e pochi lo sono dal
punto di vista archeologico),
non sono mai abbastanza precisi.
Per la grande inchiesta
intitolata "Italia XI", ideata e
iniziata da Marco Palma e alla
quale ho partecipato, abbiamo,
per rilevare i dati scelti,
esaminato o riesaminato i codici
stessi. Non entro qui nei
problemi di concezione e di
organizzazione che hanno
purtroppo limitato lo
sfruttamento dei dati. Il fatto
è che non avremmo mai potuto
accontentarci dei dati dei
cataloghi, anche dei più recenti
e dettagliati. Per farla breve:
in che misura i cataloghi
possono e debbono fornire i
materiali per le ricerche di
tipo codicologico? Il problema
rimane aperto, ed è tanto più
grave in quanto le inchieste "a
tappeto" nei magazzini di
manoscritti sono sempre più
escluse dalle autorità delle
biblioteche.
2. Già nel
lontano 1978 Gilbert Ouy, forte
della sua esperienza di
conservatore di manoscritti alla
Biblioteca Nazionale di Parigi,
lanciava, nelle acque tranquille
della catalogazione tradizionale
– talvolta queste acque
rivestivano l'aspetto di una
palude –, una grossa pietra: "Comment
rendre les manuscrits
médiévaux accessibles aux
chercheurs ?". Formulando,
contro il sistema tradizionale
di catalogazione, i rimproveri
di rigidità e di lentezza, egli
preconizzava un sistema di
descrizione graduale e
flessibile nella sua
elaborazione, costantemente
perfezionabile nella sua
pubblicazione progressiva a
fascicoli mobili e fogli
sostituibili. La fatwa degli
ayatollah della catalogazione
cadde sull'imprudente, ma le sue
proposte guadagnarono terreno;
il progresso e la
generalizzazione delle risorse e
dei programmi elettronici ne
resero l'applicazione sempre più
facile e i vantaggi pìù
evidenti. Dopo parecchie prove e
iniziative di cui non vi farò la
storia, assistiamo oggi a una
fioritura di cataloghi
elettronici, elaborati e diffusi
tramite internet. Citerò
soltanto uno degli ultimi: il Catalogo
aperto dei manoscritti
Malatestiani, frutto
di una delle iniziative
dell'infaticabile Marco Palma.
Esso è ben presentato nel n° 42
(printemps 2003) della Gazette
du livre médiéval e in un
dépliant che avrete avuto forse
l'occasione di vedere. Palma e
la sua équipe mettono
ottimamente in pratica i
suggerimenti di Ouy e sfruttano
alla meglio i vantaggi dello
strumento elettronico. In un
catalogo di questo tipo, ogni
descrizione può mettere insieme
i contributi di più
collaboratori, diversi quanto a
competenze ed esperienza; e ogni
descrizione sarà continuamente
oggetto di correzioni,
precisazioni, arricchimenti,
aggiornamenti. Non è poco, se si
pensa al povero catalogatore
solo e – teoricamente –
onnisciente; quest’ultimo
perderà molto tempo a
familiarizzare, ad esempio, con
gli arcani della letteratura
medica o astronomica bizantina,
mentre uno specialista della
materia gli dirà subito con che
testo o tipo di testo egli ha a
che fare; se, in una nota
marginale, egli si imbatte su un
nome di personaggio o di luogo
sconosciuto, lascerà ad altri il
compito di identificarli. Non si
ha sotto mano lo specialista
capace di analizzare, datare e
localizzare una legatura? Il
campo della scheda resterà vuoto
o ridotto al minimo fino al
momento giusto. Va da sé che,
incaricato per lunghi anni di
sovrintendere alla catalogazione
di decine di migliaia di
manoscritti in alfabeto latino,
e davanti alla prospettiva
scoraggiante, anche in ambiente
ecclesiastico, di aspettare
cinque o sei secoli prima di
vedere la fine dell'impresa, non
posso che salutare iniziative
che dovrebbero permettere di
accelerare notevolmente il
lavoro e di integrare in maniera
comoda gli aggiornamenti. Ma in
questi progetti, non tutto è
rose e fiori. Riunire, far
lavorare, controllare équipes di
catalogatori e mettere a
disposizione dei ricercatori i
risultati della loro fatica pone
problemi sconosciuti al
catalogatore classico; posso
indovinarli, senza averli
affrontati di persona. Fatto più
grave, forse: appena il libro
manoscritto presenta un certo
grado di complessità (pensate a
ciò che ho detto un momento fa a
proposito dei codici compositi o
miscellanei), esso non può
essere capito nella sua
struttura materiale e
intellettuale senza combinare in
una sintesi le sue
caratteristiche archeologiche e
contenutistiche. Per districare
le complicazioni di una
composizione dei fascicoli che
presenta irregolarità o ha
subito modifiche, uno deve far
appello alle suddivisioni del
contenuto, agli scambi di mano,
alle differenze nel tipo di
pergamena o carta adoperato; e
la stessa procedura s'impone se
uno parte dei problemi di
contenuto. Insomma, il libro
manoscritto è come un essere
vivente, di cui si capiscono le
caratteristiche soltanto se
sono considerate come parti di
un tutto strutturato,
funzionante e passibile di
evoluzione. Ci vorrà sempre un
coordinatore dei lavori, una
specie di direttore d'orchestra,
capace, egli solo, di capire il
manoscritto nella sua
singolarità e di farla capire
all'utente.
2. Le qualità di un buon
catalogatore
Conoscerete la "réplique" di
Figaro al conte nella commedia
di Beaumarchais: "Aux qualités
que nos maîtres exigent de nous,
connaissez-vous, Monsieur le
comte, beaucoup de maîtres qui
seraient capables d'être
valets?" Il mestiere di
catalogatore potrebbe sembrare a
qualcuno di tipo ancillare.
Risposta del catalogatore al
professore d'università di prima
fascia: "Date le qualità
richieste a un
catalogatore, conosce molti
professori capaci di essere
buoni catalogatori?" Lanciata
questa innocente freccia, vi
dirò, partendo dalla mia
esperienza, e ben conscio di
rimanere lontano dall'ideale,
quali sono, ai miei occhi, le
qualità di un buon catalogatore.
Qualcuna già l'avrete dedotta da
ciò che ho appena detto del
coordinatore dell'impresa di un
catalogo collettivo. Quelle che
evocherò adesso riguardano il
singolo catalogatore
nell'esercizio concreto della
sua attività
Nella
raccolta dei dati, il buon
catalogatore dà prova di
curiosità, di pazienza e di
perseveranza.
La
curiosità è il motore di ogni
ricerca intellettuale. Se, come
dirò tra poco, il catalogatore
si costringe a lavori talvolta
ripetitivi e noiosi, la sua
ricompensa è di trovarsi davanti
a testi che non riconosce
subito, a scritture che mettono
alla prova le sue conoscenze
paleografiche, a particolari
intriganti nella costituzione
materiale del libro. Il lavoro
del catalogatore presenta
analogie con quello
dell'investigatore o
dell'amatore di parole crociate
e di problemi enigmistici.
Nell'identificazione dei testi
si impara, col tempo, a
riconoscere lo stile o i temi
che mettono sulle tracce
dell'autore; ai miei tempi non
si disponeva ancora di tutti gli
strumenti a cui accennerò più
avanti, come il TLG, il
Thesaurus Linguae Graecae statunitense;
sospettando, davanti a un testo
mutilo, di aver a che fare con
un passo di Giovanni Crisostomo,
ho trascorso ore a sfogliare i
volumi della Patrologia
Graeca, spesso con
successo. Uno dei testi che mi
ha dato più filo da torcere è
una sezione di un codice
miscellaneo di tipo
raccogliticcio, il Vat. gr.
1823. Quattro fogli
contengono un testo anonimo, di
controversia teologica. La
lettura mi convinse che si
trattava di un autore
nestoriano, di livello
abbastanza buono. Cercai a
lungo, senza risultato. Avevo
perfino trascritto l'intero
testo e l'avevo sottoposto
all'uno o all’altro collega,
senza esito. Mi stavo chiedendo
se non fosse il caso di
pubblicarlo, quando, esaminando
una nuova collezione di testi
patristici, mi capitò tra le
mani l'edizione di un'opera di
controversia cristologica, la Refutazione
scritta da un autore poco
conosciuto, Euterio di Tiana,
del V secolo; mi bastò dare
un'occhiata per riconoscere i
temi del mio testo; si trattava
in effetti del capitolo 21
dell'opera. Rimasi nello stesso
tempo soddisfatto e un po'
deluso. Soddisfazione del
poliziotto che finalmente mette
le mani sul colpevole; delusione
per aver perso l'occasione di
pubblicare un inedito e di
vedere il risultato di lunghe
ricerche condensato in una riga
di catalogo. Nel campo
codicologico, uno dei
divertimenti del catalogatore è
di identificare la mano di un
copista, cosa relativamente rara
per i manoscritti più antichi,
abbastanza frequente per il
periodo rinascimentale; la
scoperta può sfociare in
articoli e monografie sulla
produzione di un copista o di un
gruppo di copisti.
Altre
qualità che ho enumerate un
momento fa sono la pazienza e la
perseveranza. Come ogni lavoro
preciso, ripetitivo, a volte
noioso, la catalogazione
richiede pazienza: non è
divertente controllare la
composizione dei fascicoli;
rilevare, foglio dopo foglio,
tutte le filigrane presenti in
un codice; verificare, foglio
dopo foglio, se un determinato
testo non comporta mutilazioni o
interruzioni. Chi non si
sottomette a questa disciplina
rischia, ad esempio, di non
accorgersi che il testo che si
presenta come un'unica omelia è
in realtà dalla seconda di
un’altra (fenomeno che può
essere dovuto a varie cause, che
bisogna diagnosticare:
mutilazione materiale del codice
stesso, mutilazione del suo
modello, distrazione nel
copiarlo). Della perseveranza,
vi ho appena dato un esempio, a
proposito del capitolo di
costituito dalla prima parte di
una e Euterio di Tiana. Il buon
catalogatore, come il buon
segugio, conserva sempre, in un
angolo della sua mente, il
ricordo dei problemi non
risolti. Così, finisce spesso
col venirne a capo. Un mio
collega e predecessore soleva
dire che bisogna partire dal
presupposto che ogni testo è già
stato pubblicato da qualche
parte: a furia di perseveranza,
si ritroverà l'edizione.
Evidentemente egli esagerava.
Direi che quasi tutti i testi
sono, se non pubblicati, almeno
segnalati in qualche manuale o
catalogo di manoscritti. Come
ritrovarli ? Ne parlerò più
avanti.
Ho trattato
finora delle qualità che deve
possedere il catalogatore quando
ricerca i dati. Spendiamo
qualche parola sulle qualità di
cui deve fare mostra quando
espone i risultati delle sue
inchieste. In altri termini,
quali sono le qualità di una
buona scheda di catalogo. Ne
cito quattro: obiettività,
completezza, precisione,
chiarezza.
Obiettività. Il catalogo deve
prima di tutto mettere a
disposizione del ricercatore
dati positivi, concreti. Mi
ricordo un'osservazione che mi
fece il mio connazionale e
collega José Ruysschaert, che
guidò i miei primi passi da
catalogatore. Gli avevo
sottoposto l'analisi della
struttura materiale, piuttosto
complessa, del mio primo
manoscritto. Ruysschaert mi
raccomandò di distinguere bene
tra l'esposizione dei fatti e la
loro interpretazione. Egli
avrebbe avuto tendenza ad
eliminare o a ridurre al massimo
l'interpretazione. Ora, sulla
distinzione, sono d'accordo: non
bisogna cadere nel difetto di
taluni giornalisti, che
mescolano fatti e commento ai
fatti. Beninteso, in certe
materie il fatto non si
distingue così facilmente
dall'ipotesi e, come ho già
detto, è l'ipotesi, cioè
l'interpretazione, che mette
sulle tracce del fatto.
Tuttavia, nel campo della
catalogazione, la distinzione
rimane valida. Ciò non impedisce
che, secondo me, il catalogatore
sia spesso il solo a poter
correttamente e soprattutto
rapidamente, interpretare i
fatti che espone; il lettore,
interessato innanzitutto al
testo, non ha spesso le
conoscenze, l'esperienza e
l'accesso ripetuto all'originale
che gli permetterebbero una
giusta interpretazione dei dati.
E in effetti noi, conservatori
di manoscritti, siamo più d'una
volta interpellati da
ricercatori che ci chiedono di
controllare o spiegare
particolari che a loro creano
difficoltà. Se il catalogo può
anticipare la risposta a queste
domande, ben venga.
Completezza, precisione e
chiarezza. Uno dei miei
professori dell'Università di
Lovanio diceva a noi, novizi
nell'arte di redigere un
articolo scientifico, che
dovevamo partire dal presupposto
che il lettore non conoscesse
nulla della materia e, di
conseguenza, esporre il problema
e la soluzione in maniera da
renderli comprensibili a
chiunque; beninteso, aggiungo
io, a chiunque legga articoli di
tipo scientifico. Questa
esigenza di accessibilità
implica, nell'esposizione,
completezza, precisione e
chiarezza. Completezza e
precisione: per noi,
catalogatori, alcuni particolari
sono talmente banali che avremmo
tendenza a ometterne la
menzione; non parlo di omissioni
dovute alla distrazione (che
sono lo stesso noiose: in uno
dei cataloghi della Vaticana
manca il numero dei fogli di un
codice, in un altro la
datazione), ma di dati
incompleti o non abbastanza
precisi: i titoli sono scritti
con l'inchiostro o il pigmento
rosso (e quale rosso?); qual è
la posizione esatta, il tipo di
scrittura, il copista dei numeri
che segnano i fascicoli? Non è
sempre facile ricordarsi di
rilevare e esporre tutti questi
dettagli. Come i piloti degli
aerei, il catalogatore dovrebbe
avere davanti a sé un elenco di
tutti i particolari da
verificare e spuntare man mano
la lista. Chiarezza. Prima di
me, i cataloghi dei Vaticani
greci presentavano
l'insieme dei particolari
codicologici in un unico
paragrafo; e all'interno del
paragrafo cambiavano l'ordine
degli elementi e la maniera di
presentarli; il mio predecessore
Giannelli, peraltro di una
acribìa e di una cura del
dettaglio esemplari, si
dilettava di usare un
vocabolario latino vario e
ricercato nel descrivere i
particolari archeologici (e si
divertiva talvolta a
punzecchiare gli autori che
citava; una sua frase mi è
rimasta in mente e me la ripeto
spesso: "vix credas gemino
gaudentem obtutu ita iudicare
potuisse"); ebbene, sono sicuro
che più di un lettore delle sue
descrizioni sentirà il bisogno
di una traduzione, ormai che la
conoscenza del latino si va
affievolendo. Sul modello dei
cataloghi dei manoscritti greci
di Vienna, ho diviso la parte
codicologica in paragrafi e
cercato di uniformare la
terminologia. Da allora le
necessità della catalogazione
automatizzata hanno imposto una
normalizzazione e una
sistematicità ben più spinte, ed
è una netta facilitazione, e per
il lettore occasionale, e per
eventuali inchieste d'insieme.
Faccio soltanto un esempio. I
miei predecessori descrivevano
la struttura dei fascicoli in
questa maniera: il manoscritto
conta 34 fascicoli, tutti
quaternioni, tranne il secondo,
di 6 fogli, il quattordicesimo
di 7, l'ultimo di 3. Ebbene,
cercando, su questa base, di
ricostituire lo schema
dettagliato dei fascicoli, più
di una volta non ci sono
riuscito, perché il conto dei
fogli non tornava; ho dovuto
riprendere il codice in mano e
rifare il calcolo. Quindi ho
adottato, nel mio catalogo (ciò
che altri avevano già fatto),
una numerazione dei fascicoli
nell'ordine del codice, notando
man mano il numero dell'ultimo
foglio di ogni fascicolo o
gruppo di fascicoli uguali. Come
saprete, vari modelli di
descrizione "matematica" dei
fascicoli sono stati proposti,
che hanno i loro pregi e
inconvenienti. Purtroppo siamo
ancora lontani dall'adozione di
un sistema unificato.
3. Conoscenze necessarie e
strumenti di lavoro
Distinguo
i due grandi aspetti della
descrizione di un manoscritto:
l'esterno e l'interno, la
codicologia e il contenuto.
Trattando
dell'aspetto esterno, ci si
attende che il catalogatore
abbia una buona formazione di
base nei campi della paleografia
e della codicologia. Esistono a
questo effetto corsi e manuali,
sui quali sarete già informati.
Ma, come per molti mestieri, si
impara soprattutto dalla
pratica. Mi sia permesso di
evocare i miei primi passi da
catalogatore. All'università mi
ero specializzato nello studio
della filosofia antica (ho
scritto e pubblicato, in
collaborazione con un mio
professore di liceo, una
dissertazione su Platone). Avevo
seguito un ottimo, anche se
breve, corso di paleografia
greca; ma non mi interessavo di
manoscritti e, a causa delle
circostanze post-belliche, non
avevo mai visto, e ancor meno
avuto tra le mani, un solo
manoscritto. Accettata la nomina
a "scriptor" (ero disposto a
cambiare settore di ricerca, pur
di fare ricerca), ricevetti dal
Prefetto della Biblioteca
l'incarico di continuare la
catalogazione del fondo dei Vaticani
greci al punto lasciato
dal mio predecessore Giannelli;
l'istruzione su come procedere
fu lapidaria: "prenda i
cataloghi redatti dai suoi
predecessori e faccia lo
stesso". Non drammatizziamo
troppo: ebbi utili consigli di
metodo da parte del mio collega
latinista Ruysschaert e qualche
aiuto episodico di Paul Künzle,
che preparava per la stampa il
catalogo dei primi Barberiniani
greci di Valentino Capocci
(ma Künzle era sopratutto un
archeologo, che ebbe più tardi
la direzione dei musei della
Biblioteca) e di Ciro Giannelli,
il quale, occupatissimo, faceva
apparizioni fugaci alla
Vaticana. Per farla breve, fui,
nel campo della catalogazione,
un autodidatta. Mi vedo ancora
aprire e percorrere i cataloghi
di Mercati – Franchi de'
Cavalieri, Devreesse e
Giannelli; rimasi allibito, come
davanti a un mondo sconosciuto.
Poi mi feci coraggio; scelsi,
tra i codici della serie, un
salterio datato al 1010/1011, il
Vat. gr. 1873: testo
familiare, nessun problema di
datazione per il paleografo
novizio che ero allora. Ma il
manoscritto, completato due
volte, e in parte palinsesto,
non era senza problemi di
struttura e di contenuto; li
affrontai e così iniziai una
formazione che non considero
ancora finita, perché è raro che
un manoscritto non vi metta in
presenza di qualche particolare
nuovo. Ben presto decisi di
ripartire con il primo codice
della sezione assegnatami e di
andare avanti, numero dopo
numero; feci bene, perché, se
avessi dovuto interrompere il
lavoro, una porzione di
descrizioni avrebbe potuto
essere stampata.
Trattando
del contenuto, bisogna
evidentemente tener conto del
genere di manoscritti che
bisogna descrivere. Il vantaggio
di un catalogo del tipo che
chiamiamo speciale, come il
catalogo dei manoscritti di
autori classici latini della
Biblioteca Vaticana, o i
cataloghi di manoscritti
giuridici, astrologici,
musicali, è che richiedono una
competenza e quindi una
formazione approfondita, ma
specifica. Non mancano i codici
di contenuto eterogeneo, ma i
cataloghi speciali tralasciano
normalmente i testi estranei
alla categoria che a loro
interessa. Restano tuttavia le
piccole note o aggiunte che
illuminano la storia del volume,
come le note storiche (relative
a re, vescovi, altri personaggi
importanti, guerre, epidemie,
eclissi, ecc.); esse richiedono,
per essere lette e capite,
conoscenze di vario genere. Ma i
cataloghi generali, che
descrivono tutti i manoscritti
di un determinato fondo, possono
mettere il catalogatore davanti
a codici di contenuto
estremamente vario. E' il caso
della porzione del fondo dei Vaticani
greci che ebbi da
descrivere. Incontrai testi che
spaziavano da Omero a
composizioni del XVI e talvolta
del XVII secolo. Poche sono le
materie che non ho affrontate:
mi sono imbattuto, nel campo che
diremmo oggi letterario, in
tutti i generi profani e
religiosi; profani: epica,
lirica, oratoria, teatro,
storia, corrispondenze,
eventualmente con i relativi
commentari di varie epoche;
religiosi: Bibbia, esegetica,
poesia sacra, omiletica,
agiografia, letteratura
ascetica. Nel campo scientifico
o pseudoscientifico, ho
descritto testi che andavano da
ogni specie di filosofia o
teologia alla grammatica, la
teoria letteraria, l'aritmetica,
la geometria, la musica, il
diritto profano ed
ecclesiastico, l'alchimia,
l'astrologia, la magia e la
divinazione, ecc. ecc.
Davanti ad
una tale varietà, come si
destreggia il catalogatore?
Prima di tutto rinfresca o
acquisisce delle conoscenze
basilari riguardo a tutto lo
scibile accumulato nei
manoscritti. Personalmente, ebbi
la fortuna di aver ricevuto
all'università e al seminario
una buona base di conoscenze
relative alla letteratura
classica, alla filosofia antica
e medievale, alla teologia. Per
il resto, a seconda delle
necessità, acquistai poco a poco
le nozioni necessarie. Mi fu
utile, all'inizio e anche dopo,
il libro di Robert Devreesse, Introduction
à l'étude des manuscrits
grecs, che fornisce, per
tutti i tipi di testi che si
incontrano nei manoscritti, una
iniziazione di base e il rinvio
a molte edizioni di testi. Al
catalogatore serve un tipo di
conoscenza particolare: egli non
ha bisogno di capire a fondo i
testi che descrive, ma gli basta
riconoscerli e ritrovare le
edizioni e gli studi che
trattano dei manoscritti che li
contengono. Certo, riconoscere
un testo senza nome d'autore né
titolo preciso, magari mutilo,
richiede talvolta un esame
attento; ma appena ha imboccato
la pista giusta, il catalogatore
si ferma: per non perdere tempo,
egli legge il meno possibile dei
testi che descrive e non cerca
di penetrarne il senso profondo
o di giudicarne il valore; la
sua erudizione è tutta di
superficie, come quella dei
bidelli – i "cuistres" in
francese – che cancellavano il
testo dalle lavagne dei
professori e ne ritenevano
pezzetti di scienza. Tuttavia,
il catalogatore trova, nei
manoscritti, se lo vuole, ampia
materia per note e articoli:
come dice la Bibbia, non si deve
mettere la museruola all'asino
che pigia le messi per estrarne
il grano.
Da ciò che
ho appena detto si deduce che la
qualità essenziale del
catalogatore è quella di
saper dove cercare le
indicazioni che gli
permetteranno di identificare il
testo e di reperire le edizioni
che lo riproducono e gli studi
che trattano del manoscritto da
descrivere o, almeno, indicano i
particolari del testo che
sarebbe utile segnalare nel
catalogo. A questo scopo servono
i manuali di storia della
letteratura, presa nel senso più
largo della parola, le
enciclopedie e repertori
generali o speciali, i dizionari
biografici, ecc. Per tenersi al
corrente delle pubblicazioni
recenti, ci sono bibliografie
periodiche e riviste
specializzate. Un aiuto
preziossimo, se il testo è
integro, è fornito dai repertori
di incipit di testi: per
fortuna si vanno moltiplicando.
Se il testo contiene parole poco
comuni, lo si può talvolta
identificare ricorrendo ai
dizionari di lingua. Uno
strumento utilissimo è ormai il
TLG, il Thesaurus
linguae graecae americano,
disponibile su CD ROM; il suo
scopo è di registrare
l'integralità dei testi greci
editi; limitato prima al periodo
classico e postclassico, esso
tende ormai ad estendersi fino
alla presa di Costantinopoli;
ma, per la letteratura del
periodo patristico e medievale,
la registrazione è ancora
parziale. All'interno di questa
massa, ci si muove grazie a
motori di ricerca; piuttosto
lenti in origine, essi sono
attualmente rapidi e efficaci;
ne ho potuto apprezzare
l'utilità queste ultime
settimane per identificare pezzi
di testi decifrati non senza
pena in manoscritti palinsesti.
Ma c'è una scorciatoia alla
quale non si pensa sempre, e a
cui ho fatto più volte ricorso:
reperire un manoscritto di
contenuto uguale o analogo e
approfittare così delle
precisazioni del catalogo che lo
descrive. Seguendo questa
strada, ho appreso molto dai
cataloghi dei miei colleghi,
passati o presenti. Finalmente,
tende a generalizzarsi uno
strumento di lavoro
particolarmente utile: le
bibliografie di manoscritti,
retrospettive o correnti. Da
questo punto di vista la
Biblioteca Vaticana è
privilegiata. Del resto,
lavorare in seno ad una grande
biblioteca offre più di un
vantaggio, come il disporre in
consultazione diretta dei
principali strumenti di lavoro,
l'occasione di incontrare i
migliori specialisti e di
ricorrere al loro aiuto
occasionale, nonché, va da sé, a
quello dei colleghi della stessa
Biblioteca.
Accanto ai
manuali, enciclopedie e
repertori stampati, il
catalogatore tende a costruirsi
strumenti personali di lavoro. I
miei predecessori hanno raccolto
su schede incipit di
tutti i testi che incontravano
nei manoscritti, e li ho
imitati; una parte di questi
schedari è disponibile nella
sala di consultazione della
Vaticana, e il mio li
raggiungerà un giorno. Il mio
predecessore Ciro Giannelli, al
fine di descrivere meglio i
codici contenenti preghiere
liturgiche o apoftegmi dei
Padri, si era costruito ricchi
schedari di incipit; li
ho alquanto aumentati e affidati
ad uno dei miei successori;
chissà se e come potranno essere
messi a disposizione degli
studiosi. Quasi dall'inizio
della carriera ho tenuto uno
schedario delle edizioni e studi
sul testo di tutti gli autori
greci, nonché uno schedario dei
copisti e possessori di
manoscritti. Ho accumulato così
decine di migliaia di schede.
Tuttavia vorrei mettervi in
guardia contro un eccesso
possibile: dal momento che la
bibliografia aumenta sempre, si
corre il rischio di consacrare
tutto il proprio tempo a lavori
e ricerche preparatorie, senza
più trovare un'ora per redigere
il catalogo stesso. "Le mieux
est l'ennemi du bien", diciamo
in francese. Vari miei colleghi,
e io stesso, abbiamo, da questo
punto di vista, peccato per
eccesso. Passando gli anni, il
difetto tende ad aggravarsi. Per
portare a termine un catalogo, è
meglio essere giovane e un po'
incosciente. Perciò temo che la
mia carriera di catalogatore sia
giunta al suo colofone, come
diceva della sua vita un erudito
bizantinista fuori del comune,
Silvio Giuseppe Mercati. Quindi,
concludo laconicamente la mia
chiacchierata: largo ai giovani!